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sansoniriccardo

Ma quanto può durare un trust in Italia?

La risposta a questa domanda è relativamente facile da dare, mentre meno agevole – invece – è la declinazione delle conseguenze che sono collegate al quesito.

Come noto, nel nostro ordinamento manca una legislazione sostanziale sul trust, dunque per l’istituzione di un “trust interno” bisogna rifarsi ad una “legge regolatrice” come, ad esempio, la Trust (Jersey) Law 1984; la legge n. 42 del 2010 della Repubblica di San Marino, o la Trust Guernsey Law 2007, solo per citare le più diffuse.

E la risposta sulla durata, in concreto, spazia in astratto – dunque – da un minimo, si fa per dire, di cento anni previsto dalla legge di San Marino (art. 9), sino alla possibilità di un trust senza termine finale di durata (art. 15) nel caso della Trust (Jersey) Law 1984 (benché questa, in realtà, sia una deviazione rispetto ai principi generali sul tema e scientemente voluta per rendere la legge più attrattiva) e del Guernsey (art. 16).

In Italia queste regole possono “importate” dalle leggi regolatrici o si scontrano con alcuni limiti presenti nel sistema? Sul punto l’unica norma che sembra poter avere qualche rilevanza è l’art. 2645-ter c.c. sulla “trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”.

La norma, che prevede una durata massima di novant’anni per i vincoli di destinazione, è una delle più criticate nella storia del codice civile perché non permette agli interpreti di comprendere con sufficiente chiarezza se, al dispetto della collocazione all’interno delle norme in materia di pubblicità, possa essere considerata foriera (anche) di una disciplina sostanziale e più generale in materia di vincoli di destinazione. In particolare, con riferimento alla durata dei vincoli di destinazione, non è chiaro se il termine di novant’anni sia un termine massimo di durata generale oppure limitato ai beni oggetto di pubblicità.

Quale deve essere, pertanto, la durata massima di un “trust interno”? Quella prevista dalla legge regolatrice o ci si deve adattare al termine indicato dall’art. 2645-ter c.c.?

Vi sono, poi, altre questioni. Il diritto dei trust consente ipotesi, come quella del cd. power of resettlement [in forza del quale il trustee può suddividere il fondo in trust creandone uno nuovo a favore di uno o più beneficiari. cfr. ad es. art. 15 (3) della Trust (Jersey) Law 1984] o del cd. decanting trust (questa locuzione si utilizza generalmente per descrivere l’ipotesi in cui i beni in trust, sulla base di una scelta del trustee, vengano apportati in altro trust a beneficio di uno o più beneficiari.), in cui la durata originaria del trust può subire variazioni anche notevoli. In questi casi, come evidente, la durata originaria del trust può sensibilmente mutare rispetto alle previsioni originarie.

Trasportando questi interrogativi sul piano fiscale, ad oggi, nella fase successiva alla Circolare 34/E 2022, l’imposta sulle successioni e donazioni si applica “in uscita”, al momento di attribuzione definitiva dei beni ai beneficiari, mentre in fase di dotazione l’imposizione è fissa in misura di euro 200,00. Un punto, ad oggi, non chiarito dalla legge né dalla legge è questo: cosa accade ove il trust fosse istituito senza un limite di durata o con una durata superiore ai novant’anni di cui al 2645-ter c.c.? Oppure, cosa potrebbe accadere, a livello fiscale, nel caso in cui la durata originaria del trust sia portata avanti col meccanismo del power of resettlement o del decanting trust?

Questi aspetti potrebbero utilmente essere affrontati nel progetto di riforma del TUSD in corso in questo periodo, in cui – dalle prime bozze circolate – emerge un’opzione per riportare la tassazione proporzionale “in entrata” al momento della dotazione del fondo in trust. Anche nel sistema che sembra venirsi a creare del “doppio binario” (tassazione “in uscita” con opzione di anticiparla “in entrata”) è utile risolvere il tema della possibile durata del trust sia sul piano sostanziale che fiscale. La riforma in atto è un’occasione che, anche su questo punto, dovrebbe essere sfruttata al meglio.

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